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IN LIBRERIA - IL LAICO IMPERTINENTE - Michele Martelli - Manifestolibri

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"Senza la laicità, la democrazia è una scatola vuota"

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lunedì 29 aprile 2013

Aspettando Godot

Da vent’anni, dalla fine di Tangentopoli, in Italia viviamo nella tipica situazione da “teatro dell’assurdo” descritta da Samuel Beckett in Aspettando Godot. Nota la storia, anzi la non-storia. Due uomini, Estragone e Vladimiro (Gogo e Didi), coperti di stracci, affamati e assetati, aspettano sotto un albero, in una zona desolata, l’arrivo di Godot, un personaggio sconosciuto, di cui si sa solo il nome enigmatico, che dovrebbe risolvere i loro problemi di sopravvivenza. Ma Godot non arriva, la condizione esistenziale dei due uomini non muta, l’attesa si protrae illimitata, tra continui silenzi e discorsi senza senso e costrutto, nella più completa incomunicabilità, impotenza e immobilismo. I due atti della commedia si chiudono con le stesse parole: «Estragone: Allora andiamo? – Vladimiro: Andiamo. – Non si muovono». Possono morire solo di fame, sete e freddo. Ogni loro disperato tentativo di suicidarsi impiccandosi all’unico albero fallisce: così miseri che gli manca persino la corda per impiccarsi.
Ecco, gli italiani da vent’anni, e massimamente oggi, vivono come Gogo e Didi: nell’inutile, frustrante attesa che “qualcuno” venga a salvarli. A risolvere i loro angosciosi problemi (il cancro dell’illegalità e della corruzione pubblica e privata, l’occupazione partitocratica dello Stato, il malaffare di governi ad personam e ad criccam, la devastazione del mondo del lavoro e della piccola imprenditoria, la graduale distruzione del welfare, l’aumento vertiginoso della povertà di massa). “Qualcuno” volta per volta impersonato da partiti, capipartito, presidenti vari e unti, bisunti e trisunti del Signore. E che li ha puntualmente delusi, ingannati, imbrogliati, ingigantendo i loro problemi e sofferenze, la loro insicurezza e disperazione.
La storia italiana degli ultimi vent’anni? Una sequela di promesse non mantenute, di menzogne mai denunciate, di occasioni irrimediabilmente perdute. Dalla bugiarda “Rivoluzione liberale”, leggasi illiberale e autocratica, di Berlusconi all’“Ulivo” riformista di Prodi che per le divisioni interne nulla ha riformato; dal governo tecnico, esperto in macelleria sociale, di SuperMonti all’“Italia. Bene Comune” di Bersani, dissoltosi nel caos delle guerre per bande, fino all’“Arrendetevi. Siete circondati. Tutti a casa” di Grillo, il cui miope duropurismo ha fatto sì che siano ancora tutti lì, da D’Alema e i 101 “traditori” all’eterno immune Berlusconi e suoi cloni, alcuni nominati già neoministri del governo Letta (o Lettino). E intanto l’Italia, quella vera, reale, degli italiani in carne e ossa, dei Gogo e Didi, continua ad agonizzare. Tra partiti infingardi, corrotti e demagoghi. Custodi solo della propria “particolarità”.
La nascita del governo Letta è l’ultima manifestazione dell’italico “teatro dell’assurdo”. All’origine, lo stallo istituzionale postelettorale durato ben due mesi. Impossibile, per i veti incrociati, formare un governo di svolta: si potevano fare nomi al di fuori dei partiti, si poteva trattare (altro che lo stupido autolesionistico “mi sembra di stare a Ballarò!”), evitare il “Bersani o niente”, uscire dal bunker del “mai con i partiti”, ecc., ma l’egocentrismo di partito o movimento lo ha impedito. Impossibile, per gli stessi motivi, eleggere un nuovo Presidente: ognuno, con arroganza e unilateralità, propone inutilmente il suo candidato, Rodotà o Prodi, ma, senza trattative e alleanze, ambedue vengono “bruciati”, a favore della rielezione di Napolitano. Restano le ceneri, da cui risorgono le vecchie e screditate “larghe intese”, la vecchia (anti)politica.
I cittadini valuteranno dai risultati il nuovo governo. Le novità di facciata (più alta quota di donne e di giovani) sono contraddette da vecchie presenze. E l’unico Grande Elettore, in grado di condizionare il governo, di tenerlo al guinzaglio, è Berlusconi.
Nella commedia beckettiana ci sono altri due personaggi, Pozzo e Lucky: il primo si proclama il padrone/proprietario (qui, questa terra, quest’albero, questo deserto, è tutto mio), ma diventa cieco; il secondo, legato con una corda al collo, è il suo servo, pronto ad obbedire a qualsiasi comando del padrone, ma diventa muto. Appunto! Un padrone assoluto non ha bisogno di vedere: gli basta comandare; il servo non ha bisogno di parlare, anzi non deve parlare, ma solo obbedire in silenzio.
Il governo Letta? Non ti fa pensare al servo Lucky strattonato agli ordini del padrone Pozzo/B., affetto da uveite? I neoministri? Che siano o diventino anch’essi i nipoti e nipotini, magari acquisiti o adottivi, dello zio Mubarak?

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Michele Martelli

«Ma perchè il Vangelo non dice mai se

Cristo ridesse?», chiesi senza una buona

ragione.

«Sono state legioni a domandarsi se Cristo

abbia riso. Credo che non abbia mai riso

perchè, onniscente come doveva essere il

figlio di Dio, sapeva cosa avremmo fatto

noi cristiani...»


Umberto Eco


Michele Martelli
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